il vero obiettivo

L'Instrumentum Laboris: un manuale di psicologia sinodale

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Per costruire il consenso occorre un metodo. Quello di Kurt Levin, inventore delle dinamiche dei gruppi, efficaci anche per neutralizzare le resistenze ai cambiamenti emersi nei sinodi precedenti, sotto il pretesto della "conversazione nello Spirito".
- DOSSIER: Sinodo sulla sinodalità

Ecclesia 24_10_2023 English

Una nuova analisi estremamente interessante dell’Instrumentum Laboris (IL) del Sinodo sulla sinodalità in corso. È quanto offerto dal sito lex-orandi.org, che riunisce differenti associazioni di fedeli attivi per difendere la forma antica della liturgia romana, in un documento di 30 pagine dal titolo L’Instrumentum Laboris pour la premiére session du Synode. Une guide de lecture. Lasciando sullo sfondo il tema dei contenuti teologici e disciplinari del documento, l’analisi si sofferma su altri aspetti, fino ad ora poco tematizzati.

Al di là della retorica sulla partecipazione di tutti alla vita della Chiesa, il vero obiettivo del Sinodo è dichiarato nel n. 15 dell’IL, che indica quale sia la traiettoria da seguire, il fine da raggiungere all’interno di moltissime tematiche che sono sul tappeto per la discussione: «Il loro scopo è aiutare a mettere a fuoco come l’attuazione delle conclusioni delle Assemblee sinodali del 2015 e del 2018 e delle indicazioni delle successive Esortazioni Apostoliche Post-Sinodali, Amoris laetitia e Christus vivit, rappresenti una opportunità di camminare insieme come Chiesa capace di accogliere e accompagnare, accettando i necessari cambiamenti di regole, strutture e procedure. Lo stesso vale per molte altre tematiche che emergono nelle tracce». Dunque, gli estensori dell’analisi hanno ragione ad enfatizzare che il Sinodo non ha altro scopo che «far accettare e applicare i cambiamenti disciplinari e istituzionali iniziati sotto il pontificato di Francesco» (pp. 2-3).

Proprio perché il fine di questo Sinodo è quello di far digerire e assimilare quanto emerso nei sinodi precedenti, occorre un metodo adeguato: la conversazione nello Spirito. Presentata come la grande novità, si tratta in realtà della versione “spiritualizzata” di un metodo di psicologia sociale ben collaudato proprio per vincere eventuali resistenze. E non è un caso che, dietro ad un linguaggio fumoso, l’IL di fatto lo abbia ben presente (cf. nn. 37-39). Dopo che ciascuno, nei piccoli gruppi di dodici membri, ha preso la parola, mentre gli altri ascoltano in silenzio, di nuovo ciascuno può nuovamente intervenire, ma – attenzione – «non per reagire e controbattere a quanto ascoltato, riaffermando la propria posizione». Il terzo passaggio mira all’«identificazione dei punti chiave emersi e della costruzione di un consenso sui frutti del lavoro comune, che ciascuno ritenga fedele allo svolgimento del processo e in cui possa quindi sentirsi rappresentato. (…) occorre un discernimento, che presti attenzione anche alle voci marginali e profetiche».

Gli estensori dell’analisi hanno fatto acutamente notare come questo procedimento ricalchi da vicino quel metodo delle scienze psico-sociali che va sotto il nome di “dinamica dei gruppi”. Il che viene esplicitamente ammesso anche nel modulo B 3. 1 dell’IL: «la prospettiva della trasparenza e della responsabilità (…) suscita anche timori e resistenze. Per questo è importante confrontarsi seriamente, con un atteggiamento di discernimento, con le acquisizioni più recenti delle scienze del management e della leadership. Inoltre, la conversazione dello Spirito è indicata come una modalità di gestione dei processi decisionali e di costruzione del consenso (...)». Rimuovere le resistenze e costruire il consenso, secondo tecniche mutuate «dalle scienze del management e della leadership»: lo Spirito Santo non c’entra nulla e funge solo da prestanome di una tecnica psico-sociale. Come non c’entrano nulla gli Apostoli nella decisione di preferire i piccoli gruppi di dodici persone, rispetto alla discussione pubblica. È tutta una questione di tecniche collaudate di gestione delle dinamiche di gruppo.

Vediamo più da vicino questa “dinamica dei gruppi”, che, ad avviso di chi scrive, costituisce l’intuizione più geniale dell’analisi. Il suo "inventore", Kurt Lewin, era convinto che fosse più semplice cambiare un gruppo che non un singolo individuo. A spiegarne la ragione è lo psicologo e sociologo francese, Jean Maisonneuve: «Una delle risorse principali della resistenza al cambiamento, è la paura di discostarsi dalle norme dei gruppi» (p. 9). Il gruppo tende a mantenere un equilibrio, in qualsiasi ambito. Occorre perciò provocarne il cambiamento attraverso due metodi: fare pressione nel senso del cambiamento desiderato e diminuire le resistenze verso di esso. Ma – sottolinea  Maisonneuve – «praticare esclusivamente il primo metodo finisce per provocare praticamente sempre delle tensioni, dei conflitti più o meno vivaci. Occorre dunque associarvi il secondo metodo» (Ivi).

I due Sinodi sulla famiglia e sull’Amazzonia hanno adottato il primo metodo, il  Sinodo in corso il secondo. Metodo sinodale e conversazione nello Spirito non indicano altro che dinamiche che mirano a portare all’attenuazione di ogni resistenza, attraverso il cambiamento promosso nel gruppo. Dal gruppo all’individuo. È per questa ragione che, come si è visto, il Sinodo non prevede dibattiti e discussioni; nemmeno si può prendere la parola per «reagire e controbattere». Si tratta a tutti gli effetti di un «abbandono della razionalità (…) preoccupante e poco conforme alla dignità del cristiano» (p. 11).

In quest’ottica, si comprende anche l’enfasi posta sui “facilitatori”, ossia quelli che dirigono le danze del cambiamento; al n. 42 dell’IL si legge infatti: «la formazione a questo metodo, in particolare di facilitatori capaci di accompagnare le comunità a praticarlo, è percepita come una priorità a tutti i livelli della vita ecclesiale». Ora, il metodo sinodale si prefiggerebbe di combattere ogni sorta di abuso; ma, si domandano giustamente gli estensori dell’analisi, «non apre forse la porta a derive e manipolazioni, o all’abuso delle coscienze, dal momento che si afferma a priori che il consenso ottenuto sarà voce dello Spirito Santo?» (Ivi). La conversazione nello Spirito non è altro che una tecnica manipolatoria, tanto più efficace perché nascosta dietro una maschera spirituale.

Il n. 42 dell’IL conclude con una frase degna di nota: «La formazione alla conversazione nello Spirito è formazione a essere Chiesa sinodale». La “Chiesa sinodale” è il risultato del metodo della “conversazione nello Spirito”, e dunque una comunità dove ogni resistenza è vinta e il programma portato avanti da pochi viene accolto e condiviso grazie alla maestria dei “facilitatori”. L’analisi mostra come non sia un caso che l’espressione “Chiesa sinodale” ricorra 98 volte nell’IL (dove “Chiesa cattolica” ne ricorre solo 10), il termine “sinodale” 159 volte e sinodalità 42. Gli altri termini gettonati sono ovviamente “discernimento” (93 volte), ascolto (98), processo (86).

Non sorprende nemmeno che questa “sinodalità” copra di fatto un processo fortemente elitario: «Il sinodo è un processo deciso in gran parte dal clero, applicato dal clero e diretto dal clero (sia pur per mezzo di laici piazzati da esso)» (p. 10). E sorprende ancor meno che essa non rappresenti affatto il popolo di Dio. L’analisi porta alcuni esempi che mostrano come la reale risposta della base durante la prima tappa del Sinodo si collochi intorno all’1%. Più o meno come gli aventi diritti di voto dei primi parlamenti “liberali” in Europa. Le sintesi intermedie hanno poi di fatto manipolato alcune istanze critiche che provenivano dalla pur risicata base, come quella relativa alla liturgia antica, chiaramente presente nella sintesi della Conferenza Episcopale Francese, ma irriconoscibile nell’IL.

Alla luce della “dinamica di gruppo” si comprende ancor meglio per quale ragione si tiri sempre in ballo il sensus fidelium, senza mai ricordare le condizioni presenti in Lumen Gentium 12, né il documento della Commissione Teologica Internazionale del 2004, ossia che non c’è sensus fidelium senza la condotta del Magistero, cui deve obbedienza. Nell’ottica sinodale, il sensus fidelium non è altro che quel consenso frutto di manipolazione; rigorosamente in contrasto con il Magistero.



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