Jueves Santo por Ermes Dovico
APPUNTI/Esercitazione 13

La preghiera e l’inno alla Vergine nella storia letteraria

Proponiamo un’esercitazione che può aiutare sia per la seconda parte che per la terza parte del colloquio orale.
Consigli per la prova d'esame

Cultura 14_06_2020

Proponiamo un’esercitazione che può aiutare sia per la seconda parte (commento e presentazione di un testo) che per la terza parte del colloquio orale (nella quale si offre al candidato del materiale, un testo, un documento, un’esperienza, un progetto, un problema, scelto dalla sottocommissione il giorno della prova).

Partiamo dall’inno Vergine Madre, figlia del tuo figlio (Paradiso XXXIII, vv. 1-39) che san Bernardo intona alla Madonna perché interceda presso Dio e il poeta possa finalmente vederlo:

«Vergine Madre, figlia del tuo figlio, 
umile e alta più che creatura, 
termine fisso d’etterno consiglio,                                    3

tu se’ colei che l’umana natura 
nobilitasti sì, che ‘l suo fattore 
non disdegnò di farsi sua fattura.                                    6

Nel ventre tuo si raccese l’amore, 
per lo cui caldo ne l’etterna pace 
così è germinato questo fiore.                                         9

Qui se’ a noi meridiana face 
di caritate, e giuso, intra ‘ mortali, 
se’ di speranza fontana vivace.                                       12

Donna, se’ tanto grande e tanto vali, 
che qual vuol grazia e a te non ricorre 
sua disianza vuol volar sanz’ali.                                     15

La tua benignità non pur soccorre 
a chi domanda, ma molte fiate 
liberamente al dimandar precorre.                                18

In te misericordia, in te pietate, 
in te magnificenza, in te s’aduna 
quantunque in creatura è di bontate.                             21

Il candidato deve dapprima contestualizzare il testo. Prima di invocare il soccorso alla Vergine, san Bernardo chiede al poeta di unirsi con lui in preghiera e di seguirlo «con l’affezione», non separandosi mai dal suo cuore. Dante non deve pensare di inoltrarsi alla visione di Dio con le sole sue forze, perché in questo caso tornerebbe indietro, piuttosto che avanzare.

Perché è proprio san Bernardo a chiedere l’intercessione della Madonna? Perché Dante ha scelto una nuova guida che lo accompagni verso Dio? Una lettura esoterica della figura e dell’opera dantesca intende trovare ragioni misteriose per la scelta di san Bernardo nell’ultima tappa verso la visione di Dio. René Guenon (1886-1951) è uno degli interpreti principali di questa lettura, perché ne L’esoterismo di Dante (1925) sostiene che Dante appartenga alla società della Fede Santa, un Ordine Terziario di affiliazione templare. Secondo la lettura di Guenon l’Inferno sarebbe il regno dei profani non iniziati, il Purgatorio presenterebbe le prove per il percorso iniziatico e, infine, il Paradiso descriverebbe gli illuminati.

La lettura esoterica dell’opera dantesca appare non solo forzata e poco confortata da convincenti prove, ma anche contraddetta dall’opera e dalla figura di un poeta che si è sempre reso interprete di una missione universale rivolta a tutti. Dante conserva sempre questo senso di missione culturale come emerge in tanti canti del poema. Basti ricordare i versi conclusivi del canto XVII del Paradiso in cui Cacciaguida spiega a Dante che ha incontrato solo «anime che son di fama note» perché di solito le persone non prestano attenzione a casi o personaggi sconosciuti. Allora perché proprio san Bernardo è l’ultima guida, subentrando addirittura a Beatrice per condurre Dante fino alla visione di Dio?

Esistono ragioni chiare ed evidenti per cui proprio lui intesse l’elogio alla Madonna affinché Lei sia mediatrice tra Dante e Dio. San Bernardo può, infatti, vantare meriti tutti particolari dinanzi a Maria. Devoto alla Vergine, è autore di una delle più belle preghiere mariane, il Memorare, preghiera che ci insegna a chiedere aiuto, a implorare il soccorso, a mendicare con povertà d’animo. A san Bernardo è, inoltre, attribuito il detto: «Ad Jesum per Mariam». Si arriva al figlio Gesù attraverso la madre Maria.

Dopo aver presentato la figura di san Bernardo, occorre soffermarsi sull’Inno alla Vergine. La preghiera, lunga trentanove versi, si struttura in due parti, la prima delle quali (vv. 1-21) è l’elogio di Maria, la seconda è una richiesta alla Vergine perché Dante possa conservare sani i suoi sensi, dopo aver visto Dio.

Rifacendosi alla tradizione mariana e alla liturgia, san Bernardo apostrofa la Madonna con tre antitesi: vergine e, al contempo, mamma, figlia del suo stesso figlio, umile e alta più di tutte le altre creature. Tre misteri incomprensibili umanamente sono qui sintetizzati: la verginità feconda, il miracolo di una creatura che diviene madre del suo stesso creatore, la grandezza della Madonna che risiede nella sua povertà di spirito, nell’umiltà e nel semplice «sì» pronunciato dinanzi alla chiamata del Signore. Il canto di ringraziamento, noto come Magnificat, pronunciato da Maria come risposta al saluto della cugina Elisabetta, è una bellissima testimonianza dell’umiltà della Vergine.

La Madonna ha reso così nobile e grande la natura umana che Dio non ha disdegnato di diventare uomo. Nel grembo della Vergine si è riacceso l’amore tra Dio e l’uomo, perché la maternità della Vergine ha permesso l’incarnazione e la redenzione dell’umanità. Dio ha mostrato all’uomo la strada per tornare a Lui e salire in Paradiso mandando suo Figlio Gesù, che è la via, la verità e la vita. Con la morte e la resurrezione di Cristo è germinata in Cielo la Candida Rosa, luogo dei santi.

La Madonna ha collaborato alla redenzione del mondo, è Corredentrice. E per grazia, in previsione dei meriti di Gesù Redentore, Dio ha preservato Maria dal peccato originale, Lei è la «sine labe concepta» (la «partorita senza peccato»), l’Immacolata Concezione, ricettacolo di misericordia, di pietà e di ogni tipo di carità. La Madonna è una fiaccola d’amore in Paradiso e fontana zampillante di speranza per gli uomini. Chi desidera ottenere una grazia deve ricorrere alla preghiera della Vergine, altrimenti si comporterebbe come una persona che volesse volare senza avere le ali. La Madonna, che comprende in sé tutte le maggiori virtù umane (misericordia, pietà, magnificenza), è, qui, presentata in tutta la sua umanità di madre, mamma di Gesù, ma anche nostra.

Lo studente potrebbe poi confrontare la descrizione di Dante con quella offerta da Petrarca che termina il Canzoniere con una lode alla Madonna (Vergine bella che di sol vestita). Infatti, il Rerum vulgarium fragmenta, più conosciuto come Canzoniere, una sorta di breviario laico, composto di 366 poesie, come fossero preghiere dedicate alla sua Madonna Laura, una per ciascun giorno dell’anno, si conclude con una lode alla Vergine, segno di indefettibile amore per Maria.

Il percorso del Canzoniere appare salvifico, in un certo modo simile a quello della Commedia. Dalla situazione di difficoltà di Voi ch’ascoltate in rime sparse, dal perenne struggimento interiore per l’incapacità di rivolgersi definitivamente al bene, Petrarca passa all’affidamento del  proprio male e della propria malinconia a Colei che volentieri viene in nostro soccorso.  È una traiettoria di ascesi. Certamente, Petrarca, rinnovato e «convertito», rimane ancora tutto se stesso, con i suoi «limiti», con la sua percezione dell’esistenza, abbracciati, però, da un amore più grande.

La sensibilità del poeta, infatti, è diversa da quella di Dante. I due poeti si trovano accomunati da un medesimo afflato religioso, che non ha dubbi sulla bellezza del Cielo e della sua Regina. Nel caso di Petrarca tutta l’incertezza riguarda l’umano, ovvero la sua capacità di aderire al bene, non certo la presenza e la bontà del Creatore.

Petrarca non ci presenta come primo tratto la maternità della Madonna (come fa Dante), bensì la sua bellezza con un tocco di sensualità e, nel contempo, memore dell’Apocalisse. Petrarca cerca di colmare questo senso di sproporzione tra la sua piccolezza e la Regina del Cielo con un’invocazione lunga che si dispiega in ben dieci stanze e che, in un certo senso, riasserisce con insistenza gli stessi concetti. La moltiplicazione dello stesso significato e della preghiera, oltre ad essere conforme alla poetica di Petrarca, ha come fine quello di presentare più volte di fronte alla Madonna le sue richieste.

Potremmo presentare la figura della Madonna all’interno della tradizione letteraria, da quella medioevale (Iacopone da Todi) a quella contemporanea (Charles Peguy e Giovanni Pascoli). Una vastissima produzione artistica e letteraria ha consacrato, nel corso dei secoli, la bellezza della Madonna, Madre di Dio. Possiamo sottolinearla a partire da alcune tra le numerosissime opere che hanno costellato il panorama letterario: lo Stabat mater dolorosa di Iacopone da Todi (1230-1306), gli Inni sacri di Manzoni, Il portico del Mistero della II virtù di Peguy.

Musicato da artisti come Giovanni Battista Pergolesi (1710-1736) e Antonin Dvorak (1841-1904), lo Stabat mater rappresenta la Vergine Maria in tutta la sua umanità, in tutto il suo dramma di madre sofferente ai piedi della croce, «afflitta e addolorata» per «le pene del suo figlio ripiegato». Madre e figlio sono i due termini su cui il testo insiste continuamente, sono le due espressioni che attestano anche il rapporto di Maria con noi. Chi di noi non soffrirebbe, si chiede Iacopone, vedendo la madre di Cristo, ma anche madre nostra, soffrire in maniera così atroce. L’uomo può solo chiedere alla Madonna che gli venga permesso di piangere con Lei. Iacopone si rivolge allora, così, alla Madonna:

Permetti che il mio cuore si infiammi     28

nell’amore per Cristo Dio,

per piacere a Lui!

Santa Madre, fa’ in modo che                   31

Le piaghe del crocifisso siano impresse

profondamente nel mio cuore.

Lo scrittore chiede di poter condividere, compatire la pena per la crocifissione di Cristo, finché sarà in vita. Allo stesso modo, Iacopone desidera un giorno gioire con Lei anche nel Paradiso:

Quando il corpo morirà                             58

Fa’ in modo che all’anima

Sia donata

La gloria del Paradiso.                               61

Negli Inni sacri di Manzoni (1785-1873) la Madonna, in perfetta sintonia con la tradizione, è partecipe della missione di Gesù, fino ai piedi della croce, e, nel contempo, presente nella storia della Chiesa, fino alla fine dei tempi, vicino a noi tutti figli suoi.

Maria compare ne Il Natale: nella grotta,

La mira Madre in poveri               64

panni il Figliol compose,

e nell’umil presepio

soavemente il pose;

Maria compare anche nell’inno sacro La passione: rimasta ai piedi della croce con Giovanni, il discepolo prediletto, conosce il dolore estremo di una madre che vede morire il figlio.

Ne Il nome di Maria, Manzoni attesta che ogni popolo ha conosciuto la grandezza della Madonna, la «Vergine, […], Signora, […] Tuttasanta» (v. 37). A Lei ricorrono il bambino, nelle “paure della veglia bruna» (v. 45), a Lei «ricorre il navigante» (v. 48). A Lei «La femminetta […]/ […] della sua immortale/ alma gli affanni espone» (vv. 49, 51-52). La Madonna ascolta le nostre suppliche e le nostre preghiere «non come suole il mondo». A Lei ogni popolo canti:

Salve, o degnata del secondo nome,                   80

o Rosa, o Stella, ai periglianti scampo,

inclita come il sol, terribile come

oste schierata in campo.


Ne Il portico del Mistero della II virtù (1911), Charles Peguy (1873-1914) racconta una storia tenerissima e commovente. Un padre guarda stupito i propri figli, pieno del desiderio che essi possano essere felici. Peguy ci invita a seguire i gesti di quest’uomo che, con grande umiltà, affida i figli nelle mani della Santa Vergine,

colei che è carica di tutti i dolori del mondo

[…] Perché il Figlio ha preso tutti i peccati.

Ma la madre ha preso tutti i dolori.


Come è liberante la preghiera recitata da quel padre di famiglia nella quale si rivolge alla Madonna dicendole:

Io non capisco più niente. Ne ho fin sopra la testa.

Non ne voglio più sapere. […]

Prendeteli. Io ve li lascio. Fatene quel che volete. Io ne ho abbastanza.

Colei che è stata la madre di Gesù Cristo può anche essere bene la madre di questi due bambini e di questa bambina.

Che sono i fratelli di Gesù Cristo.

E per i quali Gesù Cristo è venuto al mondo.

[…] Voi li vedete. Io ve li affido.

Da allora, da quell’affettuosa e intima preghiera con la Madonna, tutto cambia e tutto inizia ad andare bene, perché il padre di famiglia ha messo i suoi figli nelle mani della Santa Vergine e «se n’è andato a mani vuote». Il padre è tornato ad essere

l’affittuario dei suoi bambini.

Non ne ha che l’usufrutto.

Ed è il buon Dio che ne ha la nuda (e la piena) proprietà.

Ma è un buon proprietario il buon Dio.

Dopo aver affrontato un percorso di storia letteraria sulla figura della Madonna lo studente può approfondire la dimensione della preghiera nella Commedia dantesca.

La preghiera è assente nel primo regno, l’Inferno. Nel canto V, Francesca fa intendere a Dante che se lei potesse (non può, però) pregherebbe Dio perché Dante possa trovare la pace.

Le preghiere sono molto presenti nel Purgatorio. I principi negligenti nell’Antipurgatorio cantano il Salve, Regina. Prima dell’ingresso nel Purgatorio altre anime intonano Te lucis ante, un inno che si recita per chiedere di tenere lontano le tentazioni della notte. Appena entrato nel secondo regno, Dante sente cantare Te Deum laudamus, l’inno di ringraziamento di fine anno per i benefici ricevuti.

In tutte le balze, preghiere e salmi allietano e confortano il cammino. Eccone alcuni esempi. Nella prima balza i superbi recitano il Padre nostro (interamente riportato nei versi danteschi in forma tradotta dal testo latino, completata da un breve commento), nella seconda gli invidiosi le litanie dei santi, nella quinta gli avari Adhaesit pavimento anima mea e Gloria in excelsis Deo, nella sesta i golosi il versetto Domine, labia mea aperies (appartenente al Miserere). Nel canto XXX, l’incontro di Dante con Beatrice nell’Eden è preceduto da un susseguirsi di inni. Da una processione nel bosco dell’Eden ad un certo punto si alza la voce di uno degli anziani che per tre volte grida Veni, sponsa, de Libano, espressione tratta dal Cantico dei cantici nel quale si racconta in chiave metaforica dell’amore tra l’anima e Dio o anche dell’amore di Cristo per la sua Sposa, la Chiesa. Gli angeli che si alzano in volo sul carro rispondono in coro Benedictus qui venis («Benedetto colui che viene»). È la frase con cui il Signore Gesù è accolto in Gerusalemme la Domenica delle Palme, una settimana prima della Pasqua.

Anche nel Paradiso le preghiere allietano il viaggio di Dante. Ecco alcuni esempi. Nel canto III, Piccarda recita l’Ave Maria, nel canto XXIII i beati cantano il Regina Celi (antifona del tempo pasquale) dopo il trionfo di Cristo, nel canto XXVI, terminato l’esame sulla carità, Dante sente intonare Santo, santo, santo. Nel canto XXVII tutti i santi intonano il Gloria.

L’ultimo canto del Paradiso si apre con la preghiera Vergine Madre, figlia del tuo figlio, recitata da san Bernardo, preludio alla visione di Dio, inserita anche tra le preghiere liturgiche, una delle più belle invocazioni che siano mai state rivolte alla Madonna.

Il percorso fin qui svolto potrebbe aprirsi ad altre prospettive, come quella di affrontare la dimensione dell’inno e della preghiera anche nella letteratura inglese e nell’ambito filosofico (tra Ottocento e Novecento).