EUCARESTIA E MATRIMONIO/4

La confessione di Ricciarella

Lanciano, 1273: una sacra particola trafugata che, nelle intenzioni, doveva servire per una pietanza magica, con lo scopo di salvare il matrimonio tra Ricciarella e Giacomo Stasio, si trasforma in carne viva e sanguinante. Nascosta per paura in una stalla ci vollero anni prima che Ricciarella raccontasse la verità e la reliquia venisse ritrovata. Solo la confessione del peccato ha rimesso in piedi il matrimonio.

Ecclesia 13_04_2014
Chiesa S. Agostino a Offida, reliquia miracolo eucaristico

Il dibattito accesosi attorno alla questione dei divorziati risposati e del loro non poter accostarsi all'Eucarestia, ha messo in evidenza - come ampiamente documentato da La Nuova BQ - che molti cattolici e anche importanti fette dell'episcopato non solo hanno perso il significato del valore sacramentale del matrimonio, e quindi il suo carattere di indissolubilità, ma anche quello dell'Eucarestia. La riduzione della Comunione a un diritto e la pratica ormai diffusa in Europa di accostarsi alla Comunione anche in stato di peccato grave e senza sentire il bisogno di confessarsi, ne sono una lampante dimostrazione. Per questo abbiamo pensato di proporre un itinerario che aiuti a recuperare il significato dell'Eucarestia, affidandolo a una firma ben nota ai nostri lettori che è anche suora adoratrice del Santissimo Sacramento. Suor Maria Gloria Riva ripercorre per noi la storia di alcuni miracoli eucaristici per introdurci al Mistero, con tutte le sue implicazioni.

È diventata una chiesa la stalla di Ricciarella, una donna di Lanciano vissuta nel  XIII secolo che si trovò al centro di un miracolo eucaristico. Correva, infatti, il 1273 e le cose fra Ricciarella e il marito, Giacomo Stasio,  non andavano bene. Lui si era allontanato dalla moglie, diffidava di lei e, spesso, scoppiavano fra i due furibondi litigi.

In preda all’angoscia la donna si recò da una fattucchiera chiedendole aiuto. La maga le ingiunse di preparare al marito una pietanza con una particola triturata fra gli ingredienti. L’amore del marito si sarebbe riacceso. Così Ricciarella si recò in una chiesa e, ricevuta la comunione, avvolse l’ostia in un panno correndo a casa. Una volta a casa mise la sacra particola sopra un coppo con l’intento di triturarla, ma nell’attimo in cui si accinse a farlo ecco che il pezzo di pane si tramutò in carne viva e cominciò a sanguinare. 

Terrore e rimorso s’impadronirono della donna, la quale, tamponando più che potè il sangue sgorgato, avvolse il brandello di carne in una tovaglia e nascose il tutto nella stalla sotto il letame.

Il marito, tornato dai campi, condusse la mula nella stalla ma la povera bestia non volle varcare la soglia. Moltiplicò le minacce, poi le lusinghe e infine le percosse, tanto che il povero animale si decise ad entrare. Una volta dentro, la mula, come l’antico giumento del profeta Baalam di Beor, s’inginocchiò proprio in direzione del punto ove Ricciarella aveva nascosto la particola. 

Il marito, furibondo per l’accaduto, se la prese con la moglie accusandola di aver fatto un maleficio all’animale a suo danno. I rapporti s‘insaprirono molto anche perché lo strano comportamento della mula continuò negli anni a venire. 

Finalmente, sette anni più tardi, ormai rosa dal più profondo rimorso e con il matrimonio sull’orlo del fallimento, la donna corse dal priore degli Agostiniani di Offida, Giacomo Diotallevi, per confessare il suo peccato. Tanta era l’angoscia che davanti al buon frate Ricciarella prese a gridare: «Ho ucciso Dio! Ho ucciso Dio!». Il frate si recò nella stalla, ritrovò la tovaglia esattamente come era stata sepolta e l’ostia trasformata in carne, perfettamente conservata. 

Per custodire la preziosa reliquia, gli agostiniani commissionarono a un bravo orafo di Venezia un reliquiario a forma di croce. Quando portarono all’artigiano la reliquia per collocarla nel reliquiario, non rivelarono all’artista di che cosa si trattava. Circondarono tuttavia l’oggetto di premura e segretezza. L’orafo, non appena prese da fra Michele la pisside che conteneva il brandello di carne, fu colto da febbre improvvisa e si mise a gridare: «Che mi avete portato o frate mio?». Fra Michele allora gli domandò se era in peccato mortale. Alla risposta affermativa dell’orafo, il frate lo confessò, subito la febbre scomparve e si poté riporre la miracolosa particola nella teca del crocefisso.

A Offida ancora oggi si custodiscono tanto il reliquiario con la particola, che il coppo e la tovaglia insanguinata. La casa e la stalla di Ricciarella furono trasformate in Cappella dove il 3 maggio di ogni anno si festeggia l’anniversario del prodigio.

In fondo la maga di Lanciano consultata da Ricciarella aveva detto suo malgrado una profonda verità, davvero l’Eucaristia poteva riaccendere l’amore del marito per la moglie. La cattiva coscienza della fattucchiera fu smascherata dal miracolo, che mostrò alla sposa con quale amore Cristo ama la sua Chiesa e con quale amore l’uomo e la donna si devono amare. Cristo ci ama con un cuore di carne e vuole da noi un cuore purificato dalla confessione della verità e dalla penitenza. Così, tanto il matrimonio di Ricciarella che la salute dell’orafo di Venezia, furono riconquistati dalla confessione sincera delle proprie colpe.

Oggi molte comunioni sono vanificate nella loro efficacia perché si riceve il Sacramento senza consapevolezza e, non di rado, in peccato mortale.

Eppure Cristo ha fatto agli uomini un grande dono, offrendo loro, accanto all’Eucaristia il Sacramento della riconciliazione. Nella vita di santa Faustina Kowalska (1905-1938) si narra che, avendo contratto una grave malattia non potesse ricevere per diversi giorni la comunione. Desiderando tuttavia comunicarsi, la santa godeva ogni giorno della visita di un serafino che, con la praticola in mano, la comunicava dicendo: «Ecco il Signore degli angeli».

Un giorno ella chiese all’angelo se poteva confessarla e rimase molto sorpresa quando si sentì rispondere dal Serafino che "nessuno spirito celeste" poteva far questo.