San Expedito por Ermes Dovico
TREVISO

E il giudice creativo anticipò le Dat

Nominato amministratore di sostegno per una malata di Sla. Obiettivo: eutanasia al momento opportuno.
Ma l'attuale legge non lo permette.

Actualidad 05_08_2011
eutanasia treviso

I giudici non sono che la "bouche de la lois", la bocca della legge, diceva Montesquieu. A leggere invece un decreto del magistrato civile Clarice di Tullio pare che la legge debba trovare altre bocche per farsi ascoltare.


Ma veniamo ai fatti avvenuti nel mese di gennaio, resi noti però solo di recente. Una donna del trevigiano di 48 anni, testimone di Geova e malata di sclerosi multipla, paventando nel futuro di perdere la capacità di intendere e volere ha espressamente dichiarato al giudice quanto segue mettendolo nero su bianco: “Voglio che mio marito possa negare il consenso alle emotrasfusioni e ad altre terapie volte a protrarre artificiosamente la mia vita laddove i medici ritengano che la mia situazione sanitaria sia senza speranza”. Insomma se non potrò decidere io per il rifiuto delle cure che possa farlo mio marito.


Il giudice tramite decreto allora ha nominato il coniuge della signora suo amministratore di sostegno. Tutta la vicenda ruota intorno alla seguente domanda: il marito in qualità di amministratore di sostegno potrà rifiutare al posto della moglie delle terapie salvavita? La risposta è negativa. Vediamo il perché.


Innanzitutto l’amministratore di sostegno può gestire gli interessi patrimoniali del beneficiario, non di certo i suoi diritti personalissimi, quali vita e salute. Può interessarsi del suo conto in banca, della vendita-acquisto di suoi immobili, etc., ma non ha il potere di staccare la spina al suo protetto. L’amministratore può sostenerti nei tuoi affari civili, ma non può darti sostegno nel toglierti la vita.


In secondo luogo l’art. 412 del Codice Civile dispone che “gli atti compiuti dall'amministratore di sostegno in violazione di disposizioni di legge… possono essere annullati su istanza ….del  pubblico ministero”. Ora, far morire una persona con il suo consenso tramite la privazione di terapie salvavita configura omicidio del consenziente, ex art 579 del Codice Penale, oppure omicidio intenzionale se il consenso del paziente non è attuale (ti uccido domani). Quindi tali atti sono annullabili perché atti contrari alla legge. Anzi in questo caso il pubblico ministero, ricevuta la notizia del crimine, dovrà attivarsi non solo per annullare la decisione dell’amministratore di sostegno, ma altresì per imputare lui e/o i medici dei reati di cui sopra.


In terzo luogo l’art. 413 afferma che “Il giudice tutelare provvede altresì, anche d'ufficio, alla dichiarazione di cessazione dell'amministrazione di sostegno quando questa si sia rivelata inidonea a realizzare la piena tutela del beneficiario”. Appare evidente che dare la morte al beneficiario non è propriamente “realizzare la piena tutela del beneficiario”. Dunque se il marito della signora ammalata di sclerosi decidesse di staccarle la spina dovrebbe essere rimosso dall’incarico. Questo ad ulteriore testimonianza che l’amministratore non ha potere di vita e di morte sul proprio assistito.

Quindi se la signora fosse vigile potrebbe legittimamente sotto il profilo giuridico – ma non sotto quello morale –  rifiutare le terapie anche quelle salvavita, così come in realtà ha già fatto in una situazione di crisi respiratoria ma che ha poi superato. Però se cadesse in uno stato di incoscienza perderebbe questa facoltà e non potrebbe essere avocata ad altri.

Ciò accade perché la disciplina sul consenso informato – e quindi la possibilità di dire no alle cure – prevede che il consenso/diniego deve essere attuale e dunque personale, non trasferibile. Insomma nessuno può decidere per te, perchè tu magari ieri volevi morire ma oggi potresti aver cambiato idea.


Da specificare che i medici, per legge e secondo il Codice deontologico, non sono obbligati ad eseguire ciò che dice l’amministratore di sostegno, proprio perché il consenso può venire solo dal diretto interessato, cioè dal paziente e non da altri. I parenti, i curatori, i tutori, gli amministratori di sostegno vengono ovviamente sentiti, ma il loro parere non è vincolante per il medico.

Tutto questo per dire che viste le espresse volontà eutanasiche della signora malata di sclerosi, il giudice doveva negare la nomina dell’amministratore di sostegno, la quale nomina è solo funzionale al verificarsi del reato di omicidio.

Una postilla finale. La figura dell’amministratore di sostegno richiama in un certo qual modo quella del fiduciario, figura prevista dal disegno di legge sulle Dichiarazioni anticipate di trattamento (Dat) in esame in Parlamento. E le volontà, anche scritte, del beneficiario previste nell’istituto dell’amministratore di sostegno riecheggiano quelle contenute nelle Dat. Però se mettiamo a confronto la legge sulle Dat con l’istituto dell’amministratore di sostegno vediamo che la disciplina prevista dalla prima è ben peggiore dell’altra almeno in due punti. Infatti il Codice Civile prevede che il giudice possa discostarsi dall’indicazione dell’amministratore prevista dal beneficiario: ad esempio se la persona scelta per fare l’amministratore ha una fedina penale non proprio immacolata, o se c’è il sospetto di plagio. Invece il fiduciario indicato dalle Dat non può essere cambiato da nessuno. In secondo luogo, come prima accennato, il giudice può non rispettare le volontà espresse dal beneficiario se sono in contrasto con i suoi interessi oggettivi o se sono contrarie alla legge.  Diverso è invece il ruolo del giudice previsto dalla legge sul fine vita: egli, qualora fosse chiamato in caso di controversia, sarebbe solo interprete delle Dat, nulla potendo contro di esse. Cioè al magistrato rimarrebbe unicamente il compito di comprendere cosa realmente desiderava l’estensore delle Dat, ma non potrebbe in alcun modo sindacare il contenuto di quest’ultime.