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MARE NOSTRUM

La Libia ricatta l'Italia con l'arma degli immigrati

Il luogo comune terzomondista vuole che la Libia non sia più in grado di gestire il flusso di emigranti. Ma in realtà, stando alle dichiarazioni del ministro libico degli Interni, la Libia ci sta deliberatamente ricattando.

Política 12_05_2014
Mazek

Brutte notizie per l’Italia e per le ministre del governo Renzi, Federica Mogherini e Roberta Pinotti, che hanno più volte sottolineato come la Libia non fosse in grado di gestire l’emergenza immigrazione per la debolezza delle sue istituzioni.

Certo la Libia è nel caos, ma a sgombrare il campo dalla favola, cara ai terzomondisti, che Tripoli non è in grado di contrastare gli schiavisti che gestiscono i flussi migratori verso l’Italia, ha provveduto il Ministro degli interni ad interim Salah Mazek. Rientrato da un viaggio a Parigi, il ministro Mazek ha chiarito il ruolo del suo Paese nel traffico di esseri umani minacciando di “facilitare” il transito di migranti clandestini se l'Unione Europea non aiuterà il suo Paese a combattere questa piaga.

A parte il fatto che il flusso di migranti risulta già oggi molto “facilitato” dalle autorità libiche, la minaccia è molto chiara e ripercorre la politica più volte applicata da Muammar Gheddafi che gestiva i flussi di immigrati africani per esercitare pressioni sull’Italia. Roma chiuse la “vertenza” nel 2010 con quel Trattato di amicizia che prevedeva anche investimenti italiani per 5 miliardi di euro in dieci anni da impiegare per costruire l’autostrada litoranea e altre infrastrutture che avrebbero dovuto essere realizzate da aziende italiane e lavoratori libici.

Caduto il raìs grazie alle bombe della NATO (e dell’Italia) i suoi successori sembrano voler perseguire la stessa politica ricattatoria. «La Libia ha pagato il prezzo. Adesso spetta all'Europa pagare» ha detto Mazek senza spiegare bene a cosa si riferisse anche se il verbo “pagare” non lascia molti dubbi sulle intenzioni del nuovo governo di Tripoli strettamente legato ai Fratelli Musulmani.

Nominato premier il 4 maggio al termine di una controversa votazione, tenutasi quando i lavori parlamentari erano già stati conclusi e rinviati ad altra giornata, Ahmed Miitig ha tentato di rivendicare la sua ''indipendenza'' affermando di non appartenere ai Fratelli Musulmani che negli ultimi due anni hanno “arruolato” nei loro ranghi molti deputati eletti come indipendenti.

L'obiettivo, come ha assicurato lo stesso Miitig in dichiarazioni alla tv di Stato, è arrivare al “consenso nazionale” e garantire il “rispetto della sovranità e dell'autorità dello Stato”. Obiettivi ambiziosi un Paese in mano alle milizie e con la Cirenaica sempre più fuori controllo. Secondo l'agenzia di stampa libica Lana, è già stato presentato un piano per la ripresa dell'economia che punterebbe sulle privatizzazioni con un “governo di crisi” a cui partecipino tutte le forze politiche.

«Voglio formare un governo di crisi - ha spiegato - un governo che sia fondato su quattro pilastri: aumentare il controllo e la sovranità dello Stato, ricostruire le istituzioni militari e della sicurezza, avviare una riconciliazione nazionale e trovare una soluzione urgente ai processi e alle rivendicazioni relativi alla transizione» ha detto il neo premier originario di Misurata. Ambizioni e riforme che forse la Libia punta a finanziare non solo con l’export di gas e petrolio ma anche con i ricatti all’Europa. Certo insospettisce che Mazek, che dovrà venire riconfermato o meno dal nuovo governo Miitig, abbia aggiunto che rientrava da una visita a Parigi dove ha incontrato il suo omologo francese al quale ha chiesto l'aiuto della Francia per trasmettere le preoccupazioni di Tripoli a Bruxelles.

Una circostanza che deve preoccupare l’Italia per due ragioni. Innanzitutto perché Mazek non ha espresso preoccupazioni ma ha bensì formulato minacce e lo ha fatto subito dopo essere rientrato dalla Francia, che è il migliore alleato europeo del Qatar, grande sponsor (anche in Libia) del movimento dei Fratelli Musulmani.

Il rischio è infatti che, come già sta accadendo, a fare le spese del ricatto libico sia l’Italia, lasciata sola dalla comunità internazionale a gestire un’emergenza che la Ue affronta sigillando i nostri confini settentrionali per impedire ai clandestini di raggiungere altri Paesi dell’Unione invece di intervenire con fermezza per impedire che i flussi illeciti lascino la Libia.

In questo contesto lasciano perplessi le recenti affermazioni di Matteo Renzi che in un’intervista a Virus (Raidue) ha affermato che «nel giro di cinque o sei anni l'Italia potrebbe avere dall'Africa l'autosufficienza energetica» aggiungendo che «il problema non è la piccola cifra, 9 milioni al mese, spesa per Mare Nostrum».

L’autosufficienza energetica la si ottiene solo sfruttando le risorse nazionali, come peraltro potrebbe fare l’Italia se sfruttasse i giacimenti di gas e petrolio dell’Adriatico che vengono invece lasciati integralmente ai croati. Se parliamo di forniture energetiche l’ottimismo del premier appare fuori luogo osservando la situazione di quell’Africa da cui provengono la gran parte degli immigrati clandestini. E poi, se i costi di Mare Nostrum sono “una piccola cifra” perché non si trovano gli spiccioli per pagare gli equipaggi delle navi?

L’ennesima disfatta registrata nell’operazione Mare Nostrum vede infatti i marinai imbarcati, circa 1.500 dall’inizio dell’anno, privati da gennaio dell’indennità di imbarco, un bonus da 6/700 euro al mese che compensa in modo forfettario gli “straordinari”. Lo ha denunciato il Cocer (organo di rappresentanza dei militari) della Marina. Di fatto lo stesso Stato che spende centinaia di milioni per raccogliere e mantenere decine di migliaia di immigrati clandestini da 4 mesi non paga le indennità di navigazione ai marinai che li traggono in salvo e li portano in Italia.