SAN GIUSEPPE

Da Giovanni XXIII a Francesco, l'amore per il "custode"

Francesco ha celebrato la messa inaugurale del pontificato, anzi di «inizio del ministero petrino», il 19 marzo, solennità di san Giuseppe, sposo della Vergine Maria. Rivelando una predilezione profonda per il custode della Sacra Famiglia.
- Religioni, collaborazione contro il secolarismodi Massimo Introvigne

Ecclesia 21_03_2013
San Giuseppe

Papa Francesco ha celebrato la messa inaugurale del pontificato, anzi di «inizio del ministero petrino», il 19 marzo, solennità di san Giuseppe, sposo della Vergine Maria e patrono della Chiesa universale.
Lo stesso Bergoglio ha riconosciuto che la data è «una coincidenza molto ricca di significato», aggiungendo che è «anche l’onomastico del mio venerato Predecessore». Ha poi commentato il passo evangelico (Mt 1, 24) dove si dice: «Giuseppe fece come gli aveva ordinato l’Angelo del Signore e prese con sé la sua sposa»; spiegando perché quello di padre putativo di Gesù e di sposo di Maria è uno straordinario ruolo di «custode».

Nel brano dell’evangelista Marco, ha precisato, «è già racchiusa la missione che Dio affida a Giuseppe, quella di essere custos, custode. Custode di chi? Di Maria e di Gesù; ma è una custodia che si estende poi alla Chiesa». Presenza costante, fedeltà totale.
Come esercita Giuseppe questa custodia? «Con discrezione, con umiltà, nel silenzio», ha affermato il Papa argentino, «ma con una presenza costante e una fedeltà totale, anche quando non comprende. Dal matrimonio con Maria fino all’episodio di Gesù dodicenne nel Tempio di Gerusalemme, accompagna con premura e tutto l’amore ogni momento».
Così, «è accanto a Maria sua sposa nei momenti sereni e in quelli difficili della vita, nel viaggio a Betlemme per il censimento e nelle ore trepidanti e gioiose del parto; nel momento drammatico della fuga in Egitto e nella ricerca affannosa del figlio al Tempio; e poi nella quotidianità della casa di Nazareth, nel laboratorio dove ha insegnato il mestiere a Gesù».

Giuseppe vive la sua «vocazione di custode di Maria, di Gesù, della Chiesa… nella costante attenzione a Dio, aperto ai suoi segni, disponibile al suo progetto, non tanto al proprio… è “custode” perché sa ascoltare Dio, si lascia guidare dalla sua volontà, e proprio per questo è ancora più sensibile alle persone che gli sono affidate, sa leggere con realismo gli avvenimenti, è attento a ciò che lo circonda, e sa prendere le decisioni più sagge».
«In lui, cari amici», Bergoglio ha concluso la parte di omelia dedicata a san Giuseppe, «vediamo come si risponde alla vocazione di Dio, con disponibilità, con prontezza, ma vediamo anche qual è il centro della vocazione cristiana: Cristo! Custodiamo Cristo nella nostra vita, per custodire gli altri, per custodire il creato!».

“Mio primo e prediletto protettore”. In questi primi giorni di pontificato, per le sue origini umili, la sua semplicità, la sua franchezza, il successore di Ratzinger è stato paragonato a un altro Pontefice con le stesse caratteristiche, Giovanni XXIII. Ebbene, se c’è, tra gli altri, un punto di contatto tra Francesco e il Papa del Concilio, è proprio la devozione per san Giuseppe, lo sposo di Maria, definito da Roncalli, nel suo testamento spirituale, «mio primo e prediletto protettore».
Fu proprio Papa Giovanni a modificare il Canone della Messa, aggiungendo al nome di Maria quello di san Giuseppe. Emblematica poi l’intenzione, manifestata al momento dell’elezione al soglio pontificio, di assumere il nome di Giuseppe.

Ma non è nella tradizione della Chiesa che un successore di Pietro si chiami così: non ce n’è uno che abbia scelto questo nome. La novità non va in porto, ma il desiderio di Papa Roncalli documenta la sua volontà di richiamare l’attenzione su un santo rimasto «nascosto» troppo a lungo. Non cessa, nemmeno da Pontefice, di essere un suo gran devoto.
Il 19 marzo 1959, festa del santo sposo di Maria e giorno onomastico dello stesso Roncalli (è il suo secondo nome), riceve i lavoratori della nettezza urbana di Roma. A loro racconta, appunto, che avrebbe voluto chiamarsi Giuseppe, «ma ciò non è d’uso fra i Papi», e ricorda di averlo venerato in modo specialissimo sin dall’infanzia. Venerazione poi continuata negli anni della formazione sacerdotale e della vocazione missionaria.

Una volta scrisse al fratello Giuseppe: «Che santo per me e per te. Più potente di sant’Antonio, al quale pur bisogna voler bene. Io non ho mai avuto occasione di trovare san Giuseppe sordo alle mie preghiere». Se negli ultimi anni è nato ed è cresciuto un movimento di maggior attenzione e di studio più approfondito sulla figura di san Giuseppe, il merito è proprio di Giovanni XXIII.
Il gesto più significativo, che ha colto di sorpresa il pacifico assetto del mondo ecclesiastico, più che la vasta platea dei semplici fedeli, il gesto più esplosivo di novità, è stato il seguente. “La sua fragranza si diffonde dappertutto”.

È il 12 novembre 1962, siamo all’inizio del Concilio. In una delle prime assemblee generali un oscuro vescovo jugoslavo prende la parola e fa notare come san Giuseppe sia trascurato nell’azione pastorale della Chiesa. Serpeggiano risolini in più di un settore. Ma quelle risa devono essere salite fino all’Altissimo perché una risposta, inaspettata, arriva il giorno dopo.
Il cardinal Amleto Cicognani, parlando a nome di Giovanni XXIII, annuncia che il Papa ha ordinato che si introduca anche il nome di san Giuseppe, accanto a quello della Madonna, nel Canone romano della Messa.

Papa Giovanni fa di più: pone il Concilio «nelle mani del caro san Giuseppe» e in una Lettera apostolica del 19 marzo 1961 parla di una nuova «primavera della Chiesa», per la quale sente necessaria la presenza dell’umile e mite figura del santo padre putativo di Gesù, rimasto per secoli in un misterioso nascondimento.
Per questo fa sistemare nella basilica di San Pietro un altare dedicato a san Giuseppe «il più bello e splendente possibile», in modo da attirare un più vivo sguardo dei pellegrini e stimolare una più universale devozione al santo. Per Giovanni XXIII, san Giuseppe è «il principale protettore della vita interiore». Lo scrive alla nipote Giuseppina, nel l944, per sostenerla nella sua vocazione. «È un fiore, san Giuseppe, che non si vede, tanto si nasconde e sfugge all’occhio, ma la sua fragranza si diffonde dappertutto».