Santa Inés de Montepulciano por Ermes Dovico
IL NUOVO SINODO

Ma quale cammino? Con queste premesse è un calvario sinodale

Un nuovo lungo calvario sinodale ci attende. Tre anni sinodali: prima i sinodi nazionali, poi i sinodi continentali e infine il sinodo universale, il tutto da qui al 2023. Questa nuova Chiesa democratica c’è già: l'abbiamo vista all'opera negli ultimi sinodi. Ma è una democrazia imposta con la forza e l’inganno, una democrazia pilotata dal centro. Sarà una “democrazia totalitaria”.

Ecclesia 23_05_2021

Un nuovo lungo calvario sinodale ci attende. Tre anni sinodali: prima i sinodi nazionali, poi i sinodi continentali e infine il sinodo universale, il tutto da qui al 2023. Dopo il calvario della “madre” di tutti i sinodi, ossia quello (doppio) sulla famiglia degli anni 2014 e 2015, la sinodalità si gonfia su se stessa e ingombra tutta la Chiesa senza lasciare scampo alcuno. La ingombra non solo come metodo (magari fosse solo un metodo di lavoro, ancorché improduttivo ma comunque solo un metodo), ma come sostanza e come contenuto.

La sinodalità – si dice - è un cammino, essa è essere in cammino, è il cammino come essere, così anche la Chiesa sinodale non è in cammino ma è il proprio cammino, è il proprio camminare. È così che dalla sinodalità nascerà la nuova Chiesa, non più una Chiesa in cammino come Chiesa, ma una Chiesa che coincide col proprio camminare. Anzi, forse questa nuova Chiesa c’è già nel progetto di questo nuovo calvario sinodale. Una Chiesa in-cammino è una Chiesa che orienta il proprio cammino in base alla propria essenza e al proprio fine, una Chiesa che-è-il-proprio-cammino è una Chiesa che si riduce al proprio divenire, una Chiesa che diventa tempo, nella impossibilità quindi di riscattarlo e di salvarlo.

Qualche anno fa il teologo Giacomo Canobbio aveva scritto che, come un tempo la Chiesa si ispirava alla monarchia per la propria costituzione interna, ora dovrebbe ispirarsi alla democrazia. Nessuno scandalo – egli diceva - se questo dovesse avvenire, perché sempre di esempi politici forniti dalla storia si tratterebbe, sia nell’uno che nell’altro caso.

Sappiamo bene che non è stata la Chiesa a prendere ispirazione dalla regalità politica ma il contrario, e ciò anche per le versioni via via adulterate di monarchia che – Schmitt ed altri insegnano – sono imitazioni secolarizzate del potere divino. Nonostante ciò, non si può negare che oggi la Chiesa voglia essere democratica e che la sinodalità sia la sostanza di una Chiesa democratica.

È vero, è una democrazia imposta con la forza e l’inganno, è una democrazia pilotata dal centro, è una “democrazia totalitaria”, ma nella sostanza formale è democrazia. Ricordo che quando il sinodo della diocesi di Bolzano-Bressanone concluse i propri lavori con affermazioni inequivocabilmente eterodosse, contrarie al deposito della fede e devianti rispetto alla morale naturale e cattolica, il vescovo non disse una parola: chi sono io per oppormi ad un sinodo? Era una democrazia programmata, perché il vescovo conosceva già questo esito quando indisse il sinodo ed indisse il sinodo per avere questo esito. È una democrazia imposta con le ormai abituali motivazioni della fedeltà ai “segni dei tempi”, della “docilità allo Spirito”, del non aver paura del nuovo. Però rimane formalmente una democrazia perché lo Spirito parlerebbe appunto in una Chiesa democratica o, meglio, nella democraticità della Chiesa. 

Allo stesso meccanismo ci si è attenuti nel doppio sinodo sulla famiglia, programmato fin dall’inizio nei minimi particolari, condotto con pressioni e controlli tipici di una polizia segreta, e conclusosi con un documento che, come era previsto, confermava quanto era stato deciso di confermare alla indizione del sinodo. Con una formula tipica del potere paternalistico, durante quel doppio sinodo fu permesso ai sinodali di dire cose indegne dal punto di vista dottrinale e morale, in modo poi che l’Esortazione apostolica finale risultasse perfino equilibrata, calmierante, moderata.

Lo stesso schema è stato seguito nel sinodo dell’Amazzonia, mentre il sinodo tedesco ha fatto un passo avanti nella chiarezza della confusione: il centro ha semplicemente lasciato fare, concedendo alla democrazia ecclesiale tedesca – che come ogni democrazia è la dittatura di una minoranza – di vantare come giustificazione solo la propria prassi: noi vogliamo fare così, facciamo già così e faremo così. Molto poco, sul piano teoretico, ma moltissimo per la nuova democrazia ecclesiale per la quale la verità nasce dall’agire pastorale dal basso (pilotato dall’alto).

Viste queste premesse, nulla di rassicurante per la fede viene dalla notizia del nuovo calvario sinodale triennale. Le affermazioni più avventate fatte passare per il soffio dello Spirito Santo, l’avverbio “insieme” come garanzia della verità del sostantivo a cui si riferisce, il “come” (espresso di solito con la parola “convenire”) diventato criterio per il “cosa”, la forma – nel senso procedurale della democrazia – scambiata per la materia.   

Lo sappiamo e già prevediamo il caravanserraglio di stranezze a cui assisteremo. Lo sappiamo perché lo abbiamo già sperimentato nella recente fase sinodale, però non possiamo lamentare i pericoli del nuovo calvario sinodale triennale solo ricordando i frutti negativi dei precedenti. Non è sufficiente lamentare che sarà, purtroppo, come un grande sinodo tedesco alla massima potenza. Quanto bisogna fare è andare alla radice e porre a severa critica lo stesso concetto di sinodalità oggi in uso nella Chiesa.