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Dietro Fiducia supplicans c'è il nuovo paradigma di Francesco

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La "guerra civile" provocata dalla dichiarazione sulle benedizioni alle coppie irregolari e omosessuali è frutto di un decennio segnato da due visioni della fede irriducibili tra loro (e irriducibili alla sola "gestione Fernández").
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Ecclesia 28_12_2023 English

La “guerra civile ecclesiale” provocata dalla dichiarazione Fiducia supplicans può essere compresa nelle sue dinamiche interne tornando al concetto di “nuovo paradigma” applicato al pontificato di Francesco. Non si contano gli articoli e i libri che adoperano l’espressione. Che si trattasse di un nuovo paradigma era evidente sin dai primi passi del pontificato. Già nelle aggiunte al testo incompiuto della Lumen Fidei o nell’intervista a La Civiltà Cattolica tutti avevamo notato un nuovo paradigma in embrione, che si è poi ampiamente dispiegato in questo decennio e ora, con la Fiducia supplicans, ha definitivamente mostrato il suo volto rivoluzionario, dividendo la Chiesa. Bisogna evitare di attribuire il disastroso effetto alla sola ultima dichiarazione del cardinale Fernández. Essa è stata preparata lungo tutto un decennio ed è da collegarsi direttamente con il capitolo 8 di Amoris laetitia, ma non solo. Ecco perché conviene riprendere in esame la nozione di “nuovo paradigma”.

Questa espressione proviene dalla filosofia della scienza e in particolare dalla scuola popperiana. Thomas Kuhn interpretava lo sviluppo della scienza come un susseguirsi di rivoluzioni sulla base di nuovi paradigmi da intendersi come programmi di ricerca. Il nuovo paradigma doveva essere in grado di spiegare sia quanto spiegato dal precedente sia quanto questo non riusciva a spiegare. La questione ebbe una evoluzione interessante quando Imre Lakatos sostenne che un nuovo paradigma non nasce dopo che si è scoperto un fatto anomalo che falsifica il precedente, ma prima si elabora il nuovo paradigma e poi si possono vedere e spiegare i fatti anomali rispetto al precedente, che altrimenti rimarrebbero al buio o verrebbero adattati a forza dentro il vecchio schema. Il fatto nuovo può essere quindi visto come nuovo solo se prima è già nato il nuovo modo di vedere le cose, e non dopo. Prima si passa ai nuovi criteri e solo poi si affrontano i fatti nuovi, resi ora visibili dalla luce del nuovo paradigma. Un fatto non è nuovo in quanto nuovo, ma perché nuovo è il modo di vederlo.

Questo spunto può aiutarci a capire la nuova situazione nel campo della teologia e della pastorale, per non rimanere intrappolati in questa logica. Secondo la dottrina della successione dei paradigmi, la benedizione delle coppie di fatto eterosessuali e omosessuali è un fatto nuovo che gli “indietristi” non riescono a capire perché sono rimasti dentro il precedente paradigma, ma risulta pienamente chiaro e condivisibile da chi ha acquisito il nuovo. La novità non sta nelle coppie omosessuali, ma nell’inedito colpo d’occhio che ora il nuovo paradigma getta su di esse. La benedizione di queste ultime è una creazione del nuovo paradigma, il quale ha posto la nuova questione dopo aver creato il nuovo modo di affrontarla. Si pone il problema perché si ha già in mente il modo di risolverlo.

Questo spiega due altri aspetti della nuova situazione ecclesiale che stiamo vivendo. Il nuovo paradigma spiega cose nuove, ma anche intende confermare le spiegazioni fornite dal precedente paradigma, altrimenti non c’è nessun passo in avanti. Infatti, Fernández dice che la precedente dottrina esposta da ultimo nel Responsum del 2021 non viene negata ma ampliata da un nuovo paradigma. Le nuove affermazioni risultano così incontestabili: non possono essere criticate alla luce del nuovo paradigma, perché proprio esso le ha prodotte, e non possono nemmeno esserlo alla luce del vecchio, perché era inadeguato e infatti è stato sostituito dal nuovo, il quale, però, non cessa di spiegare quanto spiegava il vecchio. In questo modo il modello del nuovo paradigma pretende di garantire la continuità della tradizione.

Questa visione è debitrice dell’impostazione non realistica ma idealistica del pensiero moderno, che parte dal soggetto e non dall’oggetto. Così tutta la nostra visione del mondo è un “grande paradigma”, a partire dal quale costruiamo la realtà.
Questa appena esposta è l’invenzione, la realtà è diversa. Lo schema ora visto ha un primo enorme difetto: intende la tradizione solo come un “precedente paradigma”, a cui fa riferimento Francesco quando parla di “ripetizione di schemi che generano immobilità”, o come una successione di paradigmi. La tradizione viene così chiamata “viva”, ma in realtà è morta perché un paradigma non è conoscenza del reale, dato che egli stesso lo pone. Al massimo è interpretativo, il che è troppo poco e deforma la definizione di tradizione della Chiesa. Inoltre, non è vero che il nuovo paradigma permetta di spiegare, alla propria luce, quanto spiegava il precedente. Questo perché il porre nuove realtà dopo aver inventato un nuovo paradigma getta a ritroso una luce diversa anche sulle verità precedenti, legate ad una interpretazione ormai superata. Questo è il punto delicato in cui vengono inseriti stratagemmi ingannevoli: in realtà Fiducia supplicans abolisce il Responsum perché i nuovi supposti motivi pastorali non sono solo pastorali ma pienamente teologici. Infatti, appartiene al nuovo paradigma sostenere che la pastorale non è applicativa ma creativa di dottrina.

Nella Chiesa di oggi ci sono due visioni della fede e due codici di pensiero irriducibili tra loro. Il Dicastero per la Dottrina della Fede porta avanti la visione della successione dei paradigmi, mentre i cardinali, i vescovi e i laici che vi si oppongono si attengono alla tradizione, che non è un paradigma destinato ad essere superato da un altro.

  



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