LA DENUNCIA DELL’ACCADEMICO

Assalto al GPII, un danno per «ogni università cattolica»

Il colpo di mano al Pontificio Istituto Giovanni Paolo II danneggia la reputazione di tutte le «università ecclesiastiche nel loro insieme», è in contrasto con il Processo di Bologna e mette a rischio il riconoscimento dei titoli accademici. A dirlo è il professor Berthold Wald, emerito a Paderborn, che denuncia il tradimento dell’eredità di Wojtyla e gli «atti arbitrari» di Paglia.

Ecclesia 25_08_2019

Le modalità con cui è stata attuata la rivoluzione al Pontificio Istituto teologico Giovanni Paolo II per le scienze del Matrimonio e della Famiglia, dotatosi di statuti che rompono con l’eredità di papa Wojtyla e conseguentemente epurato dei suoi docenti simbolo (vedi il dossier della Nuova BQ), rappresentano un danno per la reputazione non solo dell’istituto vaticano bensì di tutte le «università ecclesiastiche nel loro insieme».

A dirlo è il tedesco Berthold Wald, professore emerito di Filosofia sistematica alla facoltà teologica dell’Università di Paderborn, in Germania, che in una lettera aperta (divulgata dal National Catholic Register) a monsignor Pierangelo Sequeri, dal 2016 preside del “Giovanni Paolo II”, denuncia «gli atti arbitrari» che hanno avuto per regista il Gran cancelliere, monsignor Vincenzo Paglia. Atti che si pongono in contrasto con il Processo di Bologna, cioè quel processo di riforma dei sistemi europei di istruzione superiore avviato nel 1999 e firmato finora da 48 Stati, Vaticano compreso, e che ha tra i suoi vari fini l’armonizzazione dei titoli di studio e dunque il loro riconoscimento nei vari Paesi che hanno aderito all’accordo.

Il professor Wald parla da persona che conosce bene la questione, poiché all’epoca - da presidente dell’Associazione delle facoltà teologiche cattoliche - è stato coinvolto direttamente nei lavori di attuazione del Processo di Bologna, collaborando con la Congregazione per l’educazione cattolica e la Conferenza episcopale tedesca. E allora, scrive nella sua lettera, la partecipazione delle facoltà e università cattoliche al processo di riforma era stato considerato «esemplare» dalla Conferenza tedesca dei rettori. Mentre adesso la situazione generale rischia di cambiare, in peggio.

Dopo aver ricordato il motu proprio Summa Familiae Cura (2017) con cui papa Francesco gettò le basi per rifondare il “Giovanni Paolo II”, Wald spiega che «le modalità concrete per attuare la rifondazione dell’Istituto contraddicono i diritti e doveri fondamentali delle istituzioni accademiche». Infatti, diversamente da quanto avvenuto con il colpo di mano di Paglia (clicca qui), «è strettamente necessario coinvolgere gli organi accademici nella deliberazione su statuti e regolamenti universitari» ed è «diritto della facoltà» dire la propria nel processo di scelta dei nuovi docenti, nel solco delle «norme ecclesiastiche». La lettera prosegue con un’esplicita accusa al comportamento di Paglia: «Il gran cancelliere di un istituto pontificio o di un’università ecclesiastica non è al di sopra di queste norme».

Wald arriva a dire che «questi principi sono stati ignorati in un modo senza precedenti», senza consultare il corpo docente. Il professore tedesco smonta subito dopo la sottile difesa ufficiale di Paglia, secondo cui i docenti più rappresentativi - da monsignor Livio Melina al filosofo polacco Stanislaw Grygiel - non sarebbero stati licenziati bensì solo non impiegati nel rifondato istituto: «Questo sarebbe un argomento solo se l’istituto fosse stato chiuso dopo aver consultato gli organi accademici, se i docenti fossero stati informati in tempo utile della necessità di chiuderlo, e se l’istituto avesse cessato l’attività almeno per un certo periodo di tempo. Ma non è avvenuto niente di tutto questo». Perciò, prosegue Wald nel suo ragionamento, «in qualsiasi università statale la giustificazione pseudo-legale del licenziamento di docenti di ruolo sarebbe vista come un tentativo di ingannare il pubblico».

In modo simile a quanto rilevato da questo quotidiano (clicca qui), anche secondo Wald la rivoluzione apportata al “Giovanni Paolo II” è tale da non consentire il mantenimento del nome del Papa polacco, vista in particolare l’eliminazione della cattedra di Teologia morale, «che compromette implicitamente l’obiettivo dell’Istituto di studiare fondamentali questioni antropologiche ed etiche, un obiettivo che Giovanni Paolo II considerava indispensabile».

Il professore indica quindi il pericolo generale derivante da tale situazione, poiché la procedura seguita nella metamorfosi dell’Istituto «può mettere a repentaglio il riconoscimento pubblico delle istituzioni accademiche legalmente affiliate alla Chiesa cattolica». Ricordando appunto il suo coinvolgimento nel Processo di Bologna, Wald avverte che «la parificazione delle istituzioni accademiche ecclesiastiche con le università statali», dunque in primis il riconoscimento dei titoli accademici, «non è scontata», nel senso che non è garantita per sempre, dipendendo dall’osservanza delle «stesse regole di base che servono a proteggere e salvaguardare la libertà accademica».

Gli «atti arbitrari» con cui è stata portata avanti la rifondazione del “Giovanni Paolo II” possono in definitiva «alimentare un generale atteggiamento anti-romano e perciò danneggiare lo status accademico delle università ecclesiastiche nel loro insieme», dall’Italia alla Germania, fino a tutta la cattolicità. Sarebbe un bel disastro, che si aggiungerebbe a quello già in corso, con il tradimento dei principi che spinsero san Giovanni Paolo II ad affidare all’allora semplice sacerdote Carlo Caffarra il compito di fondare l’istituto che per quasi 40 anni ha presentato la bellezza del matrimonio e della famiglia secondo il progetto di Dio.

Da qui il richiamo finale di Wald a monsignor Sequeri: «Mi chiedo quali siano le vere ragioni per cui tu, da rinomato accademico, non vedi la minaccia delle istituzioni accademiche della Chiesa che si auto-derubano del loro stesso valore».